Una serie di iscrizioni ritrovate a più riprese nell'area del Foro Romano testimoniano la presenza, a partire da età imperiale, di stationes (στατίωνεϛ) di alcune della città dell'impero, sulla cui funzione il dibattito scientifico è ancora aperto. Le epigrafi ci informano della esistenza di stationes delle seguenti città: Caesarea-Anzarbos (IGUR I 78; IGUR I 81), Tarsos (IGUR I 79; IGUR I 90), Tiberias (IGUR I 82 e 83), Tralles (IGUR I 84), Sardis (IGUR I 85), a cui sono da aggiungere due città non identificabili con certezza forse Bethaisda (IGUR I 89) e una Heraclea (IGUR I 88), oltre ad altre attestazioni più discusse che potrebbero portare ad incrementare il numero delle testimonianze. Tale dossier è stato da sempre messo in relazione con un passo pliniano, che ricorda l'esistenza di stationes municipiorum nell'area del Forum Iulium (Plin. nat. 16.236), e con uno di Svetonio relativo alla vita di Nerone, a proposito della condanna di Salvidienus Orfitus per avere affittato tre tabernae della sua domus in prossimità del Foro ad uso delle stationes (Suet. Nero 37). Apparentemente povera di dati è la realtà archeologica: recentemente si è proposto di riconoscere, forse a ragione, alcune delle stationes in una serie di piccoli vani in opera laterizia allineati lungo il lato meridionale della Sacra via (di fronte al cd. Portichetto Medievale) venuti alla luce negli anni 90 del Novecento e precedentemente indagati da Giacomo Boni alla fine del XIX secolo. Di essi attualmente restano solo pochi tratti di muratura in laterizio, appena sufficienti a identificare gli ambienti: tutti diversi tra loro per dimensione e forma, databili al tardo II secolo d. C. e costruiti al di sopra del portico neroniano della strada, forse a seguito dell'incendio del 191 d.C.
Nel contributo ci si propone di riesaminare la questione e tutte le problematiche connesse (cronologiche, onomastiche, topografiche), ripartendo dalla fondamentale testimonianza di una epigrafe, pertinente ad una statio dei Tirii nella città di Pozzuoli (IG XIV, 830), ricchissima di dati sul funzionamento delle stationes delle città straniere: il recente approfondito riesame dell'iscrizione (Lombardo 2013) sembrerebbe, infatti, chiarire le piste di ricerca da seguire sul ruolo di questi spazi. Parallelamente, il riordino del dossier romano e l'approfondimento delle problematiche archeologiche ad esso connesse (decorazione, architettura, planimetrie), integrando anche gli inediti appunti di Giacomo Boni sugli scavi in esame, mira a comprendere a fondo le caratteristiche di queste strutture, inevitabilmente derivate dalla funzione che dovevano svolgere.
Non adeguatamente valorizzati, infatti, appaiono gli elementi (su cui insistono anche molti dei testi epigrafici, es: IGUR I, 84, ll. 6-7) sulla natura di questi luoghi come monumenta e sullo strettissimo rapporto che intercorreva tra essi e il potere imperiale: le stationes, intese come struttura architettonica, costituivano, simbolicamente, la “personificazione” delle città da cui dipendevano, che consentiva alle stesse di essere presenti e “partecipare” alla vita pubblica di Roma, non a caso poste in uno dei luoghi più carico di significati politici, il Foro Romano, scenario in epoca imperiale dell'autorappresentazione del potere.
In questo senso, ripartendo dalle informazioni riportate nelle iscrizioni, verificando il legame tra le epigrafi e gli ambienti identificati con le stationes, e soprattutto recuperando i numerosi materiali (decorazioni architettoniche, apparati decorativi e scultorei) provenienti da questi luoghi, mai fino ad ora messi insieme, si intende indagare a fondo il significato di questi spazi legati alle comunità di peregrini provenienti dalle varie città dell'Impero, eccezionali testimoni di mobilità e socialità nel mediterraneo antico, nonché delle attività e degli interessi all'origine di questa mobilità.
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